Onorevoli Colleghi! - La montagna nell'ordinamento giuridico italiano repubblicano è sovente stata oggetto di intervento normativo. Ancorché il primo intervento significativo riguardante la montagna sia datato 1948, quando il decreto legislativo n. 804 ripristinò il Corpo forestale dello Stato, la prima legge autenticamente generale fu la legge 25 luglio 1952, n. 991, che partiva dall'inscindibilità tra aree montuose, attività agricole, opere forestali e opere di bonifica. La prima soluzione di continuità nel modo di concepire questi territori fu portata dalla legge 3 dicembre 1971, n. 1102, con cui fu regolato il complesso delle questioni economico-sociali grazie alla costituzione delle comunità montane. Quella legge era il frutto, variamente apprezzabile, della volontà politica di introdurre la pianificazione economica e sociale nell'amministrazione pubblica, attuando per tale via un «risarcimento» e una perequazione tra le aree economiche molto disomogenee.
      Il fenomeno dell'impoverimento delle zone con dislivelli altimetrici apprezzabili non è stato tuttavia combattuto con risultati eccellenti. Nell'epoca attuale la valorizzazione dei particolari ecosistemi montuosi per l'economia agraria, artigiana e industriale a impatto ambientale minimo è avvenuta in minima parte, ad eccezione dei territori - prevalentemente settentrionali - in cui è stato creato un elevato benessere per la presenza di attività turistiche.
      La legge di riferimento vigente 31 gennaio 1994, n. 97, ha avuto un'applicazione parziale e non è riuscita a rendere «normale» la vita in montagna giacché non è

 

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riuscita a favorire gli investimenti né a contrastare l'esodo di servizi pubblici. Ciò che in definitiva deve essere riconosciuto e valorizzato è la capacità delle aree montane di essere artefici del loro futuro, rifiutando qualsiasi forma di «ghettizzazione» che tende a inibirne la capacità propulsiva legando la loro sopravvivenza esclusivamente a politiche assistenziali e pianificate altrove. L'obbiettivo strategico che ci proponiamo è di ripopolare i territori montuosi non solo e non tanto di abitanti ma anche di biodiversità, di servizi, di vita. Per fare ciò riteniamo necessario procedere anche a modificare la citata legge n. 97 del 1994.
      L'articolato proposto non si limita a favorire l'effettività dei diritti alla salute, all'istruzione, alla mobilità, alla corrispondenza e alla comunicazione (articoli 4-6) ma introduce vantaggi tributari e fiscali al capo IV. Siffatte agevolazioni s'indirizzano alla generalità delle attività svolte in territori con dislivello ma individuano, inoltre, attività meritorie e tentano di favorirle. È il caso dell'agricoltura biologica e tipica e della «agricoltura sociale», cioè dell'attività rivolta a fini terapeutici e di aiuto delle persone svantaggiate, definite ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 381 del 1991. È nondimeno il caso dell'attività di ricerca. Al fine di semplificare il quadro dei soggetti pubblico-statali si propone la soppressione dell'Ente italiano montagna (EIM), istituito dalla legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 1279), che ha sostituito il soppresso Istituto nazionale della montagna (IMONT), poiché non sembra utile un nuovo ente parastatale per governare non un'emergenza, non una zona depressa o un comparto industriale, bensì un'area geografica strategica.
      In considerazione della legislazione europea e internazionale abbiamo altresì ritenuto di consentire l'esistenza delle comunità montane per i comuni il cui 60 per cento del territorio è pari a 600 metri. Si tratta di una norma più estensiva di quelle vigenti in altri Stati europei - come Francia, Austria, Slovenia, Spagna e Grecia - ed essa risulta necessaria per evitare l'abuso di una disciplina priva di giustificazione. Il limite altimetrico risulta tutt'altro che arbitrario dal momento che oggi territori geograficamente non montuosi si ingeriscono in questioni per le quali non hanno competenze. Tale limite per essere equo deve considerare le peculiarità geografiche, conseguentemente abbiamo pensato di ridurlo a 500 metri sugli Appennini. La riduzione dei territori partecipanti alle comunità montane indubbiamente potrebbe produrre una riduzione nel finanziamento giacché i comuni economicamente più floridi sono quelli ad altimetria più bassa, che oggi contribuiscono maggiormente alle entrate delle comunità montane. Questa riduzione di entrate viene compensata da un fondo speciale per il finanziamento delle comunità montane.
      Abbiamo, infine, previsto la delega al Governo per l'istituzione di un reddito sociale per la montagna (articolo 7) in favore di attività meritorie svolte in montagna per favorire lo sviluppo agricolo legato alla biodiversità, l'artigianato tipico e gli interventi di riequilibrio idro-geologico. Tale disposizione è un contributo concreto per il ritorno in montagna di attività di pregio al di fuori delle monocolture o dello sfruttamento turistico. Tale stanziamento non è «a pioggia» ma trova tre limiti: uno reddituale (pari a 12.000 euro lordi annui), uno imprenditoriale (un numero massimo di tre dipendenti) e uno territoriale (la residenza). Il reddito sociale per la montagna costituisce, quindi, uno strumento utile per qualificare agricoltura e artigianato rafforzandone le filiere tipiche.
      In una simile proposta di legge non potevamo dimenticare alcune norme ad hoc per agevolare i gruppi d'acquisto equo e solidale che trovano nella montagna un tessuto sociale fertile per proliferare.
 

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